Il quattrocentesco crocifisso ligneo della chiesa di Santa Maria delle Grazie di Carosino

di Angelo Campo


particolare del crocifisso ligneo custodito nella chiesa S. Maria delle Grazie di Carosino (foto A. Campo)

Anticamente, fino al Settecento, Carosino disponeva di due chiese, poste una affianco all’altra, divise da un muro e collegate da una porta. La prima era l’”antica cappella” dedicata a Santa Maria di Carosino, che custodiva l’immagine sacra della Madonna allattante, l’altra era una chiesa costruita successivamente (XV sec.) e distinta dalla prima. I due edifici, in seguito, fondendosi ad un terzo (una nuova cappella realizzata nel ‘600 dove trasmigrò l’mmagine sacra della Madonna di Carosino), hanno generato lo spazio liturgico della attuale chiesa parrocchiale dedicata alla Madonna delle Grazie.

Senza scendere in considerazioni legate ad aspetti architettonici, tipologici, artistici e politici-devozionali, è possibile affermare che la chiesa “nuova”, di dedicazione ignota ma dalla presenza significativa dell’imponente e bellissimo crocifisso ligneo al centro della abside (per cui sarebbe possibile ipotizzare un culto originario per la “Croce”), adiacente ma distinta per funzionalità ed aspetto all’antica cappella che custodiva l’immagine della Madonna di Carosino (quest’ultima databile al XII-XIII sec. secondo l’Arditi), è da riferirsi al tempo della dominazione, su questi territori, del principe di Taranto Giovanni Antonio Orsini del Balzo e di sua madre Maria d’Enghien, regina “decaduta”.

la chiesa parrocchiale vista dal sagrato (foto A. Campo)

A quei tempi erano signori del casale i de Noha, parenti di Maria d’Enghien, e Carosino stava per affrontare un periodo terribile che lo portò alla rovina e all’abbandono per circa 50 anni: dal terremoto del dicembre del 1456, passando per due epidemie di peste inframmezzate da una lunga carestia, si arrivò alla distruzione del casale, o di quanto ne rimaneva, da parte di Giorgio Castriota Scandeberg durante la guerra di successione ad Alfonso I d’Aragona il giorno di pasqua del 1462.

L’edificio della “nuova chiesa” è probabile sia da annoverare fra quelli che Giovanni Antonio consegnò nelle mani dei frati francescani della vicaria di Bosnia e, quindi, da mettere in relazione con altri analoghi edifici sparsi per il Salento, a partire da Galatina, Lecce e Taranto, lungo percorsi ed itinerari strategici per il principato. L’attribuzione è testimoniata dall’epoca di realizzazione e dall’architettura tardogotica della antica abside poligonale, innervata in copertura da costoloni ogivali che ricordano molto altri edifici religiosi realizzati durante il principato.

L’originario spazio absidale è oggi occupato dai confessionali, ubicati in una sorta di atipico transetto biabsidato ricavato dalla rotazione dell’asse principale, quest’ultima effettuata con lo scopo di rendere l’aula liturgica più ampia senza dover ricostruire ex novo l’intero organismo edilizio, come spesso succedeva nel Settecento. Al centro del catino absidale, dentro un’ampia nicchia di dimensioni di circa 1,6m di larghezza e 2,0m di altezza, una volta fiancheggiata da due alte e strette monofore ogivali strombate, murate in epoca moderna ma ancora visibili dall’esterno, è esposto il bellissimo crocifisso ligneo a grandezza naturale di autore ignoto.

il crocifisso ligneo come attualmente si presenta all’interno della chiesa (foto A. Campo)

La scultura lignea è collocata ad un’altezza dell’attuale piano di calpestio di circa 2,5 m, ancora nella sua posizione originaria dopo circa 560 anni, aggrappata con zanche metalliche al paramento murario. Va considerato che il pavimento attuale è certamente rialzato rispetto a quello originario di almeno un metro.

Nel 1577, durante la sua prima visita pastorale, l’allora vescovo di Taranto, mons. Lelio Brancaccio, lo vide e lo citò brevemente: “L’altare maggiore dove si sale mediante quattro gradini, ha un crocifisso in alto. Dissero che su quell’altare celebravano i sacerdoti latini, su uno degli altri il sacerdote greco …”.

Da quella prima visita, ogni successiva lo descrive nella stessa posizione assieme all’altare maggiore denominato successivamente del “S.S. Crocifisso”.

Ne “l’inventario dei beni mobili e stabili che si possiedono dalla parrocchial chiesa di S. Maria di Carosino fatto in gennaio 1728“, il curato don Pietro Carafa scriveva esserci nell’altare del SS.mo Crocifisso:

un crocifisso grande di legno antico, col suo Portiero di tela torchina d’avanti;

un panno d’Altare d’oro pelle vecchio;

due tovaglie di tela di casa, una doppia e l’altra singola;

due coscini di tela pittata, e proprio borza di saia per l’altare;

sei candelieri di legno posti in argento con sei giarrette connsimili;

un ginocchiatoio lungo d’abbeto con due confessionali ai lati della cappella

E’ chiaro che l’altare del crocifisso nel 1728 avesse già perso la sua centralità a favore di quello della Madonna di Carosino. Quest’ultimo era stato realizzato interamente in pietra leccese nei primi anni del Seicento all’interno del cappellone ad essa dedicato (fino alla seconda metà del Settecento l’altare dedicato alla Madonna era privo della parte marmorea).

Dopo il restauro e la ristrutturazione delle due chiese adiacenti e del cappellone, tra il 1743 ed il 1763 ad opera della duchessa di Carosino Francesca Albertini, l’antica abside, come tutto quanto rimaneva della chiesa Quattrocentesca e dell’antica cappella, fu interessato da un restyling che coprì cornici, modanature e costoloni preesistenti con stucchi e decori tardo barocchi.

Il crocifisso fu inserito all’interno di una teca lignea tripartita con altrettante porte e vetri in stile rochelle e richiami goticheggianti, della quale esiste ancora qualche immagine fotografica.

Le operazioni di rifacimento dell’edificio liturgico avvenute tra il 1743 ed il 1763, avevano erroneamente convinto gli storici locali che sia il crocifisso sia quella parte della chiesa fossero Settecenteschi. Queste imprecise informazioni sono ancora riportate sui pannelli descrittivi dell’edificio religioso presenti all’esterno, sul sagrato.

Soltanto a seguito dei restauri teminati nel 2000, sono state riportate a vista alcune parti dell’intradosso della copertura dell’abside, eliminando la teca lignea già alleggerita delle porte e dei vetri negli anni ’70 del Novecento.

A seguito, quindi, di recenti studi condotti dallo scrivente e pubblicati solo nel 2014, è stato possibile risalire alle varie fasi di costruzione della chiesa, collocando in maniera corretta anche la croce lignea nella linea del tempo.

il crocifisso ligneo come si presentava ancora negli anni ’70
(foto A. Campo – archivio parrocchiale)
il crocifisso ligneo come si presentava ancora negli anni ’90 (foto A. Campo – archivio fam. Conzo)

Va segnalato che, come riportato nei verbali di alcune visite pastorali (ne fa riferimento, seppur in maniera confusa, anche monsignor Pignatelli nel 1684), il Santissimo Crocifisso era titolare di un beneficio, istituito da un certo Nicola Manasse per diriitto del patronato del principe di Faggiano (probabile riferimento a don Fabio Albertini, prima dell’acquisizione del tiptolo di duca di Carosino da parte della nobile famiglia napoletana) per celebrare tre messe all’anno. Successivamente il riferimento al beneficio a favore dell’altare del Crocifisso si trova più genericamente indicato come obbligo in perpetuo di celebrare una messa solenne il giorno della Santa Croce (visite di mons. De Fulgure 1822, 1825 e 1828).

Scrive D. L. De Vincentis, in Storia di Taranto vol III, IV, V, Taranto, 1878:

era stupenda architettura, ornata di eleganti pitture e decorata di varie cappelle gentilizie, cioè quella di S. Antonio del principe fondatore, quella del Crocifisso dei signori Albertini principi di Faggiano, quello di S. Anna dei signori Antoglietta marchesi di Fragagnano, quello di S. Leonardo di Porto Maurizio dei signori Acclavio, e l’altare maggiore dei signori Protonobilissimo Cavalieri Napoletani stabilitisi in Taranto”.

De Vincentis si riferisce alla chiesa del convento di Sant’Antonio da Padova in Taranto, fondata dal principe Giovanni Antonio nel 1444. Anche in questa, nel Settecento, gli Albertini avevano un altare di famiglia dedicato al Crocifisso.

Riferimenti bibliografici:

  • Angelo Campo, Strada principale e strade secondarie. Il caso di Carosino presso La Croce, tra la via Appia e la strada Sallentina, attraverso secoli e terremoti, Congedo, Galatina, 2014;
  • Antonio Cinque, Carosino. Sopravvivenze storiche di una comunità. Studi e ricerche, Mandese, Taranto, 1988;
  • Giacomo Arditi, Corografia fisica e storica della Provincia di Terra d’Otranto, parte C-F, Lecce, 1879;
  • D. L. De Vincentis, Storia di Taranto, vol III, IV, V, Taranto, 1878;
  • Archivio diocesano di Taranto, fondo visite pastorali, varie annate e fascicoli;
  • Archivio parrocchiale S. Maria delle Grazie di Carosino
  • Archivio famiglia Antonio Conzo e Arcangelo

La statua di San Biagio in cartapesta dipinta di Carosino

di Angelo Campo

Nella chiesa Parrocchiale S. Maria delle Grazie di Carosino si trova una statua in cartapesta che ritrae San Biagio con un pastorello certamente di scuola leccese. La statua si trova in chiesa almeno dagli inizi del Novecento grazie alla devozione del popolo carosinese per il santo di Sebaste poi divenuto patrono del paese nel 1908.

Recentemente, a causa di una aspra polemica scatenatasi prevalentemente sui social per un restauro affidato ad artisti locali e fermato in itinere, è sembrato opportuno realizzare uno studio delle fonti disponibili che possano fornirci qualche maggiore notizia sul manufatto per affrontare meglio, se possibile, la questione del valore storico, artistico e culturale dell’opera su delle basi certe.

Secondo il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio “Sono beni culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà“.1

Un bene culturale va preservato, tutelato e rispettato perché, anche nel caso non venisse attribuito un particolare valore artistico, resta in grado di testimoniare le vicissitudini storiche di una comunità e, relazionandosi con altri beni del territorio e con le tradizioni, può aiutare a ricostruire un’ idea chiara del contesto nel presente e nel passato.

Il quadro conoscitivo del bene non può, naturalmente, prescindere dallo studio delle fonti dirette ed indirette, e per questo sono state svolte alcune ricerche nell’Archivio Parrocchiale, nell’Archivio Storico Diocesano e tra chi avesse dei ricordi o potesse fornire delle testimonianze della storia della statua nella comunità carosinese.

La tradizione popolare ha, da sempre, attribuito la statua al noto artista leccese Raffaele Caretta2, suggerendo anche una data di realizzazione che sarebbe quella del 1898, quest’ultima, però, non supportata da alcun documento.

In effetti quelle che sembrano le prime immagini fotogafiche che mostrano la statua in processione nella piazza del paese riportano una data che varia dal “15 ottobre 19003 a quella più generica dei primi del Novecento: “foto Troilo, inizi del ‘900“.4

fonte virtu@al world
fonte sito istituzionale del Comune di Carosino

fonte Antonio Cinque San Biagio di Carosino edizioni pugliesi pg.22

Il quadro storico nel quale la statua compare a Carosino affonda le radici nella presenza di una qualche devozione per il santo documentata già nel XVIII secolo, probabilmente per la esistenza di una sua antica immagine sacra resistita nella zona presbiteriale della primigenia chiesa santuario, oggi completamente scomparso, risalente, al XII-XIII secolo5. L’immagine del santo ha, certamente, cominciato ad avere un certo valore iconico per la comunità solo dopo lo spostamento, avvenuto nei primi anni del XVII secolo, della raffigurazione della Madonna di Carosino dalla vecchia sede, nelle vicinanze della quale doveva trovarsi il San Biagio, alla nuova collocazione entro l’altare in pietra leccese posizionato sul fondale dell’attuale presbiterio6. In cima all’altare dedicato alla Madonna di Carosino realizzato più o meno nel 1604, tra Santa Irene da Tessalonica a sinistra e Santa Caterina d’Alessandria a destra, fu posta una statua in pietra che, seppur oggi presenti una iscrizione graffita ove si legge “S. Cataldus“, era, probabilmente almeno inizialmente, dedicata a San Biagio.

La devozione per San Biagio, però, fino al XX secolo, non sembra fosse caratterizzata dalla presenza di processioni con statue o effigi e non ci sono rimandi espliciti a particolari cerimonie.7 Nelle visite pastorali di mons. De Fulgure del 1853 e Jorio del 26.10.1886 e del 7.01.1900 non vengono citate statue dedicate al santo ma si parla solo della presenza di un altare “in mediocre stato” (De Fulgure), che si ordina “sia restaurato l’altare di S.Biagio” (Jorio1886), “sotto il titolo di S. Biagio” (Jorio 1900).8

Ad una prima cappella dedicata al Santo di Sebaste fa riferimento nel 1856 l’arciprete don Cosimo Carrieri durante una visita pastorale di mons. Blundo quando parla dell’ “altare di San Biagio meno principale dentro una nuova cappella a spese dei benefattori costruita tre anni addietro“. Si concorda con la tesi di Cinque circa il fatto che tale cappella non sia stata realizzata ex novo nel 1853 ma, si aggiunge, ricavata entro una residua parte dell’antica chiesa del XII secolo che, dopo la complessa ristrutturazione avvenuta tra il 1743 ed il 1763, fu inglobata nella nuova fabbrica.9

Nel 1899 viene trasferito da Montemesola a Carosino don Cosimo Fiorino che prende le redini della parrocchia. In quell’epoca la chiesa dedicata a S. Maria delle Grazie di Carosino possedeva un consistente patrimonio immobiliare (terreni e fabbricati) e mobiliare (ex voto, gioielli, donativi di vario genere) che erano stati accumulati in circa 500 anni e censiti, per la prima volta, nella visita pastorale di mons. Brancaccio del 1577 e che testimoniavano la grande importanza che il santuaio mariano aveva avuto dal XV al XIX secolo10.

Oggi ne è residua testimonianza la presenza di diverse formelle votive scolpite nell’altare in pietra leccese Seicentesco che raccontano alcuni dei miracoli attribuiti alla Madonna di Carosino tra il XVI e XVII secolo.

Subito dopo il suo insediamento, il nuovo parroco don Cosimo Fiorino, cominciò ad occuparsi delle condizioni generali della chiesa e, volendola migliorare, chiese all’Arcivescovo Jorio l’autorizzazione a vendere alcuni preziosi donativi ed ex voto con allegata perizia di un orafo, per provvedere prima al rifacimento di una parte del pavimento e poi, il 31 luglio 1902 “per sopperire in parte alla spesa di un altare in marmo costruito al Cappellone di S. Biagio in questa chiesa Parrocchiale“.11

fonte Archivio Storico Diocesano di Taranto

Questa operazione fu ripetuta il 9 maggio 1903 per “applicarne il prezzo a vantaggio della stessa chiesa” e il 23 marzo 1907 per la “restaurazione ed abbellimento del Cappellone di S. Biagio” sempre con istanza a mons. Jorio (Arcivescovo di Taranto dal 1885 al 1908).12

fonte: Archivio Diocesano di Taranto
fonte: Archivio Diocesano

Dunque, furono prima sistemate varie parti dell’edificio parrocchiale partendo dal pavimento dell’altare del Rosario, poi venne realizzato un nuovo altare per San Biagio ed infine si lavorò al Cappellone dedicato allo stesso santo, cancellando, probabilmente, in quell’occasione quanto ancora restava della antica chiesa dell’XI secolo.

La rinvigorita devozione verso San Biagio portò il 5 maggio 1908 alla richiesta dei carosinesi di averlo quale patrono del paese, autorizzazione che effettivamente fu ottenuta l’11 agosto 1908.13

Va annotato che nella Bolla Papale viene espressamente detto “...; versum etiam ab immerorabili tempore alteram festivitatem in eiusdem Sancti autistitis honorem mense Octobri soleant celebrare. …” riferendosi ad un culto molto antico per il santo nel mese di Ottobre.

Da quanto è possibile appurare dalle fonti, risalgono a quegli anni le prime richieste di don Cosimo Fiorino alla Curia Arcivescovile di Taranto di organizzare una festa per il santo con processione. In questo frangente storico deve essere stata, dunque, condotta a Carosino la statua in cartapesta di San Biagio che poteva finalmente essere esposta in processione nel paese.

fonte: Archivio Diocesano

La ricostruzione storica effettuata tende a superare l’idea fino a questo momento diffusa che fa risalire la statua agli ultimi anni dell’Ottocento, collocandola più correttamente ad i primi anni del Novecento ed in particolare al periodo in cui don Cosimo Fiorino si occupò prima della edificazione del cappellone dedicato a San Biagio, e poi alla consacrazione del Santo di Sebaste quale patrono del paese.

Ne è ulteriore riprova il fatto che presso l’archivio diocesano di Taranto, in una corrispondenza del 1906 tra il parroco don Cosimo Fiorino e la Curia diocesana, esiste una piccola busta da lettere sulla quale appare scritto “statue in Carosino“. La busta contiene le immagini ricordo stampate come cartoline di tre statue tra cui quella di San Biagio, con la dicitura: “… che si venera nella Chiesa Parrocchiale di Carosino“.14

fonte Archivio Storico Diocesano di Taranto
fonte Archivio Storico Diocesano di Taranto

Inoltre l’immagine fotografica attualmente in circolazione che testimonia le prime uscite della statua in processione per le vie di Carosino, appartiene alla collezione cosiddetta delle “feste patronali” di Francesco Troilo. Va da sé che se San Biagio è divenuto patrono di Carosino con Bolla di papa Pio X del 29 settembre 1908, la processione fotografata dall’allora sindaco di Taranto sia, probabilmente, più o meno contemporanea a tale data.

Sembra legittimo, dunque, dedurre che l’arrivo a Carosino della statua sia proprio attorno al 1906 e che il momento vada messo in relazione con i lavori per “la restaurazione e l’abbellimento del Cappellone di S. Biagio” realizzati attorno al 1907.

Stabilita la data più probabile della prima presenza della statua di cartapesta nella chiesa parrocchiale, resta da capire chi l’abbia acquistata e chi ne sia il proprietario.

Riguardo questo aspetto, va detto che le lunghe e laboriose ricerche compiute nei vari archivi, non hanno portato ad alcuna informazione certa in quanto non vi è traccia di un documento di acquisto, di un atto di donazione, di una nota, un appunto o un riferimento esplicito alla statua. Neppure negli inventari dei parroci nel momento del loro avvicendamento al ministero dopo la morte di don Cosimo Fiorino si trova nulla. 15 Solo recentemente (verbali del 29/06/2009, don Leonardo Marzia e del 31.08.2017, don Lucangelo De Cantiis), la statua in cartapesta viene finalmente citata assieme alle altre, ma nel frattempo potrebbe essersi perso il ricordo della originaria proprietà, contemplando nei beni ecclesiali un manufatto mai formalmente trasferito nel pieno possesso della parrocchia.

La consueta cura del bene da parte del Comitato di San Biagio (munito di autonomo CF) e il fatto che l’ultimo restauro del 2008 sia stato compiuto per incarico e devozione del sig. Domenico Monteleone, allora presidente del Comitato, potrebbe costituire una traccia di ricerca.

L’altra statua di San Biagio presente in chiesa, in legno, realizzata dalla ditta Vincenzo Demetz e figlio di Ortisei, è stata acquistata dall’Amministrazione Comunale di Carosino nel 1962 con la motivazione che trattavasi del santo patrono del paese.

Certamente don Cosimo Fiorino che per la vendita degli ori e dei beni ecclesiastici chiedeva puntualmente alla Curia una motivata autorizzazione, non suggerisce mai l’intenzione di acquistare una statua in cartapesta.

Per la statua ancora oggi esistente di Gesù Risorto, anche questa attribuita a Raffaele Caretta senza adeguata documentazione, fatta “eseguire” da “alcuni Servi di questa Parrocchia“, come si legge in un documento firmato da Cosimo Fiorino ed indirizzato alla Curia Arcivescovile il 22 febbraio 1912, viene espressamente richiesta autorizzazione all’Arcivescovo Jorio di poterla utilizzare ed esporre in chiesa.16 Nel caso del nostro San Biagio non esiste un simile documento.

fonte Archivio Storico Diocesano di Taranto
fonte: web, San Biagio Festa Patronale Carosino (anche questa statua viene attribuita “vox populi” a Raffaele Caretta)

Riguardo al problema dell’attribuzione del manufatto all’artista leccese Raffaele Caretta vox populi, abbiamo un unico riferimento su un libricino dello storico carosinese Antonio Cinque17 ove, nella didascalia della immagine di copertina della statua, si cita il noto cartapestaio salentino quale autore della stessa, seppur nel corpo del testo non ci sia traccia di argomentazione o documentazione in grado di confortare tale affermazione.

Anche in questo caso, nonostante la provenienza leccese appaia abbastanza scontata per la tipologia di materiale, le caratteristiche compositive e stilistiche dell’opera e per la tipica tecnica di lavorazione a focheggiamento, l’attribuzione della statua ad un autore certo appare complessa.

Se l’anno di realizzazione della statua è, come precedentemente argomentato, attorno al 1905-1906, dovremmo trovare qualche similitudine con altri lavori con lo stesso tema realizzati in quegli anni dalla sua bottega.

Raffaele Caretta (1871-1950), allievo apprendista del Maccagnani, si formò successivamente nella bottega di Giuseppe Manzo fino al 1895, quando decide di aprire un proprio laboratorio a Lecce prima in piazzetta Panzera n. 8 (sotto palazzo Tinelli) e poi in via Dei Sotterranei n.2 dove continuò a lavorare, successivamente, il figlio Giovanni. Nel 1898 ottenne una medaglia d’argento all’Esposizione Internazionale di Torino e due medaglie d’oro consecutivamente nel 1899 e nel 1900 all’Esposizione Campionaria Mondiale di Roma. Egli continuò ad ottenere molti prestigiosi riconoscimenti nazionali ed internazionali per tutto il primo decennio del Novecento, accrescendo la sua fama ed il prestigio della bottega d’Arte da egli condotta. Fu nominato, infine, Cavaliere pro Ecclesia e Commendatore di S. Silvestro papa.

Raffaele Caretta nella sua bottega. Fonte:  Gli artisti della cartapesta leccese nella pubblicistica salentina, Provincia di Lecce, Mediateca, Progetto Ediesse (Emeroteca Digitale Salentina) a cura di Imago, Lecce

Negli stessi anni, però, la cartapesta leccese comincia a vedere una forte competizione tra i principali artisti della città (Guacci, Manzo e Caretta) che rendono, via via, il prodotto più commerciale e ripetitivo nel tentativo di vincere la gara della vendita del maggior numero possibile di manufatti. Gli artisti arrivano a regalare le loro statue a chiese ed istituzioni pur di aumentarne la diffusione, o a fare pubblicità su giornali e riviste.

Si arrivò al 1934, quando, durante la Seconda Settimana di Arte Sacra per il Clero (in Roma dal 7 al 14 ottobre ), la statuaria in cartapesta fu oggetto di un’aspra polemica diffamatoria che ancora oggi la perseguita, malgrado la Commissione Pontificia per l’Arte Sacra non ne abbia mai vietato l’uso.18 Il settore vide, così, una continua e progressiva crisi.

La statua carosinese si collocherebbe, dunque, in questo contesto storico e, se fosse dell’artista Raffaele Caretta, risalirebbe al suo primo periodo di lavoro, quando era impegnato in concorsi nazionali ed internazionali e lavorava nella sua bottega in piazzetta Panzera a Lecce.

Già allora Caretta, come gli altri maggiori cartapestai leccesi, firmava sistematicamente le sue produzioni. La nostra statua, purtroppo, non reca alcuna firma e sembra che non ce ne sia mai stata una, visto che gli ultimi restauri dal 1963 ad oggi non hanno messo in luce alcuna traccia di scritta, autentica o data sulla base o sulle figure.

Da una ricerca compiuta negli archivi disponibili, tra le centinaia di opere realizzate dall’artista leccese, è stato possibile individuare diversi S. Biagio. Si tratta delle statue presenti nella chiesa di San Biagio ad Altamura del 1905, in S. Giovanni Gemini ad Agrigento (1920), nella cattedrale M. DD. Assunta di Ostuni e nella chiesa del Carmine di Manduria (1909). A queste viene affiancato il gruppo scultoreo presente nella chiesa dell’Incoronata a Corato che rappresenta San Cataldo per le similitudini del tema e della composizione.

La statua di Carosino non assomiglia a nessuna di queste per alcune macroscopiche caratteristiche che appare strano Caretta abbia sperimentato solo per il nostro San Biagio. Nel caso carosinese, infatti, il santo di Sebaste viene rappresentato alto e longilineo, con il busto leggermente ruotato verso il bambino e con lo sguardo abbassato e compassionevole, il capo appena inclinato verso un lato. Il panneggio dell’abito bianco è ricco di pieghe e leggermente mosso. Sembra che un ginocchio, quello sinistro, prema leggermente contro la veste. La mano sinistra distesa verso il basso cerca di tenere contemporaneamente il libro sacro, la spazzola del martirio ed il pastorale cingendo appena quest’ultimo con una presa poco salda. Il bambino al fianco è anch’egli longilineo ed elegante e mostra una delle due gambe avanzata rispetto all’altra ed un piede appena sollevato sulla punta delle dita suggerendo una strana torsione con un accenno di movimento ed una leggera flessione del busto.

Nelle altre statue di S. Biagio realizzate da Caretta sembra che ci siano caratteristiche diverse. I panneggi appaiono più semplici, i busti ingessati, il braccio sinistro afferra sempre saldamente il pastorale nella parte alta e non ci sono altri simboli sacri che complicano la presa; il bambino è sempre piantato per terra, bloccato, quasi ipnotizzato dal Santo.

Per certi versi, più che similitudini con altre statue di Caretta, sembrano esserci elementi in comune con un San Biagio dell’inizio del Novecento custodito nella chiesa di San Domenico a Casarano e realizzato da Giuseppe Manzo. Qui la scena mostra un certo dinamismo: la pastorella tiene le mani giunte ma le gambe ancora leggere e mobili, il panneggio del santo appare svolazzante e morbido, il busto è ruotato di quasi 90 gradi rispetto a gambe e piedi che si intuiscono sotto la veste e che cercano una posizione di equilibrio naturale; il ginocchio destro piega la veste bianca segnalando un asse di rotazione al quale il capo e la mano destra, in qualche modo convergono costruendo una sorta di triangolo i cui vertici sono il ginocchio, la mano e gli occhi; lo sguardo incantato della fanciulla è ravvicinato e cerca un punto di contatto con il vertice del triangolo a lei più prossimo.19

Il San Biagio in cartapesta dipinta presente nella chiesa madre di Carosino, che, a questo punto possiamo definire di incerta attribuzione e dubbia proprietà, è stata vittima di diverse e complesse vicissitudini che ne hanno segnato la storia e le fattezze e che, di seguito, si cercherà di ricostruire e riassumere.

Arrivata a Carosino nei primi del Novecento (1906 è la prima data certa), la statua deve aver subito già un primo intervento di restauro o ridipintura prima degli anni ’50, come testimoniato da un confronto tra la prima fotografia reperita nell’archivio diocesano e datata 1906 e quella di una processione degli anni ’50. Differenze evidenti si possono apprezzare, ad esempio, per i decori e la croce dorata sulla mitra e per la posizione del libro e della spazzola nella mano sinistra del santo.

fonte: virtu@l world

Successivamente, il 3 febbraio 1962, si è verificato un primo incidente che ne ha compromesso irrimediabilmente l’integrità. Durante la processione della festa patronale, infatti, la statua ha intercettato dei cavi elettrici sospesi per strada, restando prima incastrata e poi decapitata. La testa, rovinata per terra, perse anche un occhio e vide deformata parte del volto. La vicenda, raccontata nel libricino di A. Cinque, ma ancora ricordata da molti testimoni oculari, portò, naturalmente, un grande sconforto nella comunità carosinese che tentò di rimediare il problema velocemente seppur alla buona. Alcuni volenterosi recuperarono le parti staccate dal busto del santo e, portata la statua al sicuro, ricucirono il capo. Gli artefici furono, da quanto la tradizione ed i ricordi dei testimoni tramandano, i signori Antonio Conzo e Antonio Laneve, artigiani del paese. A questi Antonio Cinque, nel suo libricino più volte citato, aggiunge il nome di un certo Pasquale Frascella che doveva essere il presidente dell’allora commissione per la festa patronale di S. Biagio.

Vista la difficile condizione della statua, artigianalmente riparata, e lo scarso valore artistico che in quegli anni si attribuiva ai prodotti in cartapesta, la comunità carosinese decise di sostituirla acquistandone nello stesso anno un nuovo esemplare ma in un materiale nobile, legno di cirmolo. La commissione fu sottoscritta e finanziata dal Comune di Carosino il 29.07.1962. Fu incaricata della realizzazione la ditta Vincenzo Demetz e figlio, con sede a Ortisei, la quale poté basarsi sul modello della statua di cartapesta esistente che nel frattempo era stata spedita in Trentino.20 La nuova realizzazione in legno arrivò a Carosino il 3 febbraio del 1963 e non riscosse il consenso atteso tra i fedeli. Fu esposta e portata in processione solo una volta durante la festa patronale poiché risultò troppo dissimile dalla precedente ed eccessivamente pesante da trasportare a spalla, fu relegata nel cappellone del patrono sito nella chiesa parrocchiale e lasciata lì.

processione del 1963 con la statua lignea. Fonte: web, San Biagio Festa Patronale di Carosino

Dopo il febbraio del 1963, quindi, venne ripresa in considerazione la statua in cartapesta leccese che necessitava, però, di impellenti interventi di recupero, e restauro. Così, nello stesso anno, quest’ultima fu affidata ad un anonimo artista tarantino che non si limitò a consolidare e ripristinare la statua, ma intervenne sulle fattezze esteriori, ridipingendola con colori ed attributi sacri differenti da quelli originali. Il soggetto fu reinterpretato facendo diventare scura la carnagione del santo e del pastorello. Era nato il così detto “San Biagio nero”.

L’intervento e l’interpretazione, evidentemente, ancora una volta, non piacque alla comunità devota al santo di Sebaste che, nel tentativo di recuperare l’immagine originale, affidò nuovamente la statua all’artigiano locale Antonio Conzo. Questi, dunque, nel 1964 intervenne sulle mani e sul volto di San Biagio e del pastorello per schiarirli.

fonte Archivio Parrocchiale

Arcangelo Conzo, figlio di Antonio, racconta, la realizzazione di un ulteriore restauro, questa volta più consistente, compiuto dal padre nel 1997 in cui fu realizzata almeno una ulteriore ridipintura con la modifica di alcuni simboli religiosi, delle decorazioni e delle cromie.

fonte: Archivio Arcangelo Conzo

fonte Archivio Parrocchiale

Ultimo intervento di restauro documentato e concluso è quello risalente al 2008, centenario della proclamazione del santo di Sebaste quale patrono del paese, compiuto dall’artista carosinese Biagio Cinque. Questi ha effettuato alcuni interventi che, rimanendo ad una analisi puramente estetica, da un lato tendono a recuperare il sistema iconico originario dei decori dorati sulla mitra e sul mantello, e dall’altro formulano nuove interpretazioni proponendo una nuova cromia del manto. Una targhetta alla base della statua ricorda il restauro compiuto da Cinque e commissionato dal signor Domenico Monteleone, allora presidente della Commissione della festa patronale.

font: Archivio Parrocchiale
particolare, fonte: Archivio Parrocchiale

Nel complesso, dunque, la statua di cartapesta di Carosino ha subito, a parte quello in corso, almeno sei diverse operazioni di restauro, alcune delle quali hanno comportato anche interventi importanti alla struttura dell’opera.

Lo studio fin qui condotto si spera possa essere d’aiuto agli esperti del settore, i quali dovranno accertare il valore artistico della statua prima di intraprendere delle scelte importanti riguardo le modalità del suo ripristino. Lo scopo della ricerca effettuata rimane quello di testimoniare come la statua, nonostante i molti rimaneggiamenti subiti e la indubbia difficoltà di comprensione di alcuni passaggi della sua storia, continui ad essere un documento dal forte valore iconico ed identitario della comunità carosinese.

1 D. Lgs. 42/2004 e s. m. e i., art. 2 c. 2

2 A. Cinque, San Biagio di Carosino, edizioni pugliesi, 1998, pg. 4

3 Così si riporta in una raccolta fotografica realizzata NEL 2000 da Vincenzo Granieri, Virtu@l World

4 A. Cinque, San Biagio di Carosino, edizioni pugliesi, 1998, pg. 18, 21 e 22

5 Giacomo Arditi, La Corografia Fisica e Storica della Provincia di Terra d’Otranto, Parte II C-F, Lecce 1879

6 A. Campo, Strada principale e strade secondarie, il caso di Carosino presso La Croce, Congedo Ed. Galatina 2014 pg. 74-75

7 Va annotato che Cinque fa riferimento ad una festa patronale già nel 1830. Tale situazione andrebbe per lo meno approfondita e rapportata all’incongruenza con la elezione di S. Biagio a patrono di Carosino avvenuta quasi 80 anni dopo. Fonte: A. Cinque, San Biagio di Carosino, op. Cit. pg. 28-29.

8 In Archivio Diocesano, DD VV.

9 A. Campo, Strada principale e strade secondarie, il caso di Carosino presso La Croce, Op. Cit. Pag. 27

10Visita past. di mons. Lelio Barancaccio del 1577. Sul Santuario della Madonna di Carosino si vedano anche P. Coco e G. Giovine.

11 in Archivio Diocesano fascicolo documenti mons Jorio su Carosino. Si veda anche A, Cinque, Carosino, sopravvivenze storiche di una comunità, Mandese editore, 1988 pg. 397

12 Successivamente il Curato di Carosino effettuò altre vendite concesse dai successivi Arcivescovi Cecchini (1909-1916), Manzella (1917-1935) e Bernardi (1935-1961). In ultimo, l’Arcivescovo Bernardi, pur concedendo al parroco di Carosino una ulteriore vendita di beni della chiesa, chiede a don Cosimo Fiorino di far rimanere almeno qualcosa presso la parrocchia (fonte Archivio Diocesano). Ed in effetti, finalmente, un inventario di questi preziosi fu realizzato nel 1938 e richiamato nel 1943, sia nel verbale di trasferimento dei beni della parrocchia dopo la morte di don Cosimo Fiorino, ove viene espressamente annotato a mano che la parte residua degli ex voto “Trovasi presso l’arcivescovo perché oggetti di valore“, che in un secondo verbale di consegna sottoscritto dal sac. Cosimo Lentini nei confronti di don Attilio Frascella “secondo disposizioni date da S.E. Mons. F. Bernardi Arcivescovo di Taranto” del 3 aprile del 1943. Fonte: Archivio Parrocchiale

13 Il documento di formale richiesta a firma di don Cosimo Fiorino si trova in versione manoscritta nell’Archivio Diocesano. La risposta ufficiale del Papa che conferisce il patronato di Carosino a San Biagio si trova in versione manoscritta nell’Archivio Parrocchiale di Carosino ed in copia dattilografata nell’Archivio Diocesano di Taranto.

14 In Archivio Diocesano, Fondo mons. Jorio

15 Vedasi il verbale del 29 maggio 1943 a seguito della morte di don Cosimo Fiorino avvenuta il 22 marzo del 1943, presente nell’Archivio Parrocchiale di Carosino

16 Documento presente nell’Archivio Diocesano di Taranto nel fondo di mons. Jorio riguardante Carosino

17 A. Cinque, San Biagio di Carosino, Op. Cit., pg. 4

18 in https://www.inforestauro.org/la-cartapesta-leccese/

19 L’immagine del San Biagio di Casarano è tratta dalla raccolta di foto denominata: I grandi Maestri della Cartapesta Leccese @igrandimaestridellacartapestleccese-Artista. Album fotografico pubblicato e visibile su Facebook

20 La statua di cartapesta fu spedita prima ad Ortisei e poi, richiesta a Carosino per la festa del santo patrono, dovette affrontare un altro viaggio nell’ottobre del 1962

Il Menhir o Pietrafitta de “La Croce” di Carosino

di Angelo Campo

I menhir sono monoliti in pietra, conficcati nella roccia ed orientati secondo i punti cardinali o riferimenti astronomici. Un’opinione diffusa è che coincidessero, almeno inizialmente, con punti ove celebrare riti legati al culto del sole e della fecondità della terra. Il termine menhir significa “pietra lunga” o “pietra dritta”, da qui deriva l’altro termine, pietrafitta, con il quale si suole individuarli. Già siti in cui si operava una qualche venerazione, dunque, vennero utilizzati durante l’impero romano come punti di riferimento per propositi legati alle percorrenze. Successivamente i cristiani aggiunsero delle croci incise sulle superfici verticali della pietra o poste in sommità.

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il menhir della Lete presso Galugnano                                                         (fonte: http://www.dolmenhir.it, per gentile concessione dello Studio de Salve)

A seguito della loro cristianizzazione vennero identificati come “Osanna”  (nel dialetto salentino vengono detti anche “Sannà” o “Sannai”) ed adornati con rametti di ulivo benedetti alla domenica delle Palme al fine di allontanare gli influssi negativi.  Continua a leggere

Carusinijdde e la battaglia del giorno di Pasqua a Carosino

di Angelo Campo

Il lunedì dell’Angelo, il giorno di pasquetta, si festeggia la Madonna delle Grazie di Carosino. La tradizione, oltre che dagli abitanti del paese jonico, nel passato era molto seguita dai tarantini che solevano raggiungere il paese di Carosino per vivere la giornata di festa e devozione alla Madonna in ricordo di un suo miracolo. Il giorno di Pasquetta rappresenta, poi, una giornata di svago e divertimento fuori porta che è tradizione fare in tutta Italia, per cui non si fa più caso alla coincidenza della festività religiosa con quella civile e le tradizioni a livello locale e nazionale tendono a sovrapporsi e confondersi.

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la Madonna di Carosino

In realtà Causinijdde più che una tradizione è un documento storico, che andrebbe conosciuto, rivalutato e diffuso nel suo significato iniziale, poiché rappresenta un pezzo del patrimonio culturale ed immateriale, costruito dall’uomo per tramandare le sue origini in maniera inconsapevole ma profonda. Ma, cerchiamo di capire meglio quale miracolo sia stato attribuito alla Madonna di Carosino e quale fosse il significato della ricorrenza. Continua a leggere

La grotta Grava – Palombara in agro di Sava

di Gianfranco Mele

In generale agli elementi rocciosi viene attribuito in antichità un significato sacro, per cui questi diventano spazi di culto connessi alla presenza di svariate divinità.

Le grotte sono ritenute luogo di presenze ctonie oracolari, o “porte degli Inferi”. Ove siano caratterizzate poi dalla presenza di sorgenti d’acqua, questi posti sono ancora più valorizzati nella loro sacralità. 1

Nel mito di Demetra e Persefone la grotta è elemento ricorrente: il rapimento di Persefone da parte di Ade avviene nei pressi di una grotta dalla quale Ade emerge: la grotta simboleggia perciò una porta dell’oltretomba. 2

Nella vicinanza della maggior parte dei luoghi di culto dedicati a Demetra e Persefone si ritrova la presenza di una grotta che serve a ricelebrare il mito di Persefone.

La grotta sacra, spesso situata nei pressi del santuario, entro l’itinerario di una via sacra, costituisce l’accesso al mondo dei morti ed è luogo di svolgimento dei misteri iniziatici. Nel culto demetriaco, la grotta è spesso anche sede di riti sacrificali animali (maialini ed altri animali). Continua a leggere

Il dipinto de “la Madonna del Rosario” di Carosino, opera del pittore settecentesco Domenico Antonio Carella

di Elena Manigrasso

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L’origine iconografica della Madonna del Rosario si associa all’apparizione di Maria che San Domenico ebbe nel 1208 a Prouille, nel primo convento da lui fondato. Da questo momento la Madonna viene rappresentata in posizione centrale con il Bambino che tende la corona del rosario ai Santi Domenico e Caterina. Questa struttura è perfettamente visibile nel dipinto di Carosino, opera pittorica dell’artista francavillese Domenico Antonio Carella.
L’associazione della Santa da Siena a San Domenico non è casuale: Caterina era stata accolta fra le Terziarie Domenicane, che a Siena si chiamavano “Mantellate” per il mantello nero che copriva la loro veste bianca. Continua a leggere

I sacri rituali di guarigione: Demetra, “la papagna” e “lu ‘nfascinu”

(echi di antichi culti sopravvissuti nella tradizione contadina della provincia di Taranto e del Salento)

di Gianfranco Mele

1

Demetra-Cerere con spighe, oppio e serpenti

In diverse aree del Salento, del tarantino e della Puglia, sono rimaste molto vive, sino quasi ai giorni nostri, le tradizioni dell’uso medicamentoso della “papagna”1 e del rito riparatorio alla “fascinazione” nel mondo contadino. Quanto sono legate queste usanze al mito demetriaco? La dea greca Demetra, e il suo corrispettivo romano, Cerere, sono legate al simbolismo delle spighe e delle capsule di papavero da oppio, sia nella mitologia che in molte raffigurazioni 2. Persino una divinità precedente (e correlata anch’essa alla successiva Demetra) scoperta a Gazi 3, è strettamente legata al papavero: il famoso “idolo” femminile di Gazi è rappresentato con in testa delle capsule di papavero. Continua a leggere