Il quattrocentesco crocifisso ligneo della chiesa di Santa Maria delle Grazie di Carosino

di Angelo Campo


particolare del crocifisso ligneo custodito nella chiesa S. Maria delle Grazie di Carosino (foto A. Campo)

Anticamente, fino al Settecento, Carosino disponeva di due chiese, poste una affianco all’altra, divise da un muro e collegate da una porta. La prima era l’”antica cappella” dedicata a Santa Maria di Carosino, che custodiva l’immagine sacra della Madonna allattante, l’altra era una chiesa costruita successivamente (XV sec.) e distinta dalla prima. I due edifici, in seguito, fondendosi ad un terzo (una nuova cappella realizzata nel ‘600 dove trasmigrò l’mmagine sacra della Madonna di Carosino), hanno generato lo spazio liturgico della attuale chiesa parrocchiale dedicata alla Madonna delle Grazie.

Senza scendere in considerazioni legate ad aspetti architettonici, tipologici, artistici e politici-devozionali, è possibile affermare che la chiesa “nuova”, di dedicazione ignota ma dalla presenza significativa dell’imponente e bellissimo crocifisso ligneo al centro della abside (per cui sarebbe possibile ipotizzare un culto originario per la “Croce”), adiacente ma distinta per funzionalità ed aspetto all’antica cappella che custodiva l’immagine della Madonna di Carosino (quest’ultima databile al XII-XIII sec. secondo l’Arditi), è da riferirsi al tempo della dominazione, su questi territori, del principe di Taranto Giovanni Antonio Orsini del Balzo e di sua madre Maria d’Enghien, regina “decaduta”.

la chiesa parrocchiale vista dal sagrato (foto A. Campo)

A quei tempi erano signori del casale i de Noha, parenti di Maria d’Enghien, e Carosino stava per affrontare un periodo terribile che lo portò alla rovina e all’abbandono per circa 50 anni: dal terremoto del dicembre del 1456, passando per due epidemie di peste inframmezzate da una lunga carestia, si arrivò alla distruzione del casale, o di quanto ne rimaneva, da parte di Giorgio Castriota Scandeberg durante la guerra di successione ad Alfonso I d’Aragona il giorno di pasqua del 1462.

L’edificio della “nuova chiesa” è probabile sia da annoverare fra quelli che Giovanni Antonio consegnò nelle mani dei frati francescani della vicaria di Bosnia e, quindi, da mettere in relazione con altri analoghi edifici sparsi per il Salento, a partire da Galatina, Lecce e Taranto, lungo percorsi ed itinerari strategici per il principato. L’attribuzione è testimoniata dall’epoca di realizzazione e dall’architettura tardogotica della antica abside poligonale, innervata in copertura da costoloni ogivali che ricordano molto altri edifici religiosi realizzati durante il principato.

L’originario spazio absidale è oggi occupato dai confessionali, ubicati in una sorta di atipico transetto biabsidato ricavato dalla rotazione dell’asse principale, quest’ultima effettuata con lo scopo di rendere l’aula liturgica più ampia senza dover ricostruire ex novo l’intero organismo edilizio, come spesso succedeva nel Settecento. Al centro del catino absidale, dentro un’ampia nicchia di dimensioni di circa 1,6m di larghezza e 2,0m di altezza, una volta fiancheggiata da due alte e strette monofore ogivali strombate, murate in epoca moderna ma ancora visibili dall’esterno, è esposto il bellissimo crocifisso ligneo a grandezza naturale di autore ignoto.

il crocifisso ligneo come attualmente si presenta all’interno della chiesa (foto A. Campo)

La scultura lignea è collocata ad un’altezza dell’attuale piano di calpestio di circa 2,5 m, ancora nella sua posizione originaria dopo circa 560 anni, aggrappata con zanche metalliche al paramento murario. Va considerato che il pavimento attuale è certamente rialzato rispetto a quello originario di almeno un metro.

Nel 1577, durante la sua prima visita pastorale, l’allora vescovo di Taranto, mons. Lelio Brancaccio, lo vide e lo citò brevemente: “L’altare maggiore dove si sale mediante quattro gradini, ha un crocifisso in alto. Dissero che su quell’altare celebravano i sacerdoti latini, su uno degli altri il sacerdote greco …”.

Da quella prima visita, ogni successiva lo descrive nella stessa posizione assieme all’altare maggiore denominato successivamente del “S.S. Crocifisso”.

Ne “l’inventario dei beni mobili e stabili che si possiedono dalla parrocchial chiesa di S. Maria di Carosino fatto in gennaio 1728“, il curato don Pietro Carafa scriveva esserci nell’altare del SS.mo Crocifisso:

un crocifisso grande di legno antico, col suo Portiero di tela torchina d’avanti;

un panno d’Altare d’oro pelle vecchio;

due tovaglie di tela di casa, una doppia e l’altra singola;

due coscini di tela pittata, e proprio borza di saia per l’altare;

sei candelieri di legno posti in argento con sei giarrette connsimili;

un ginocchiatoio lungo d’abbeto con due confessionali ai lati della cappella

E’ chiaro che l’altare del crocifisso nel 1728 avesse già perso la sua centralità a favore di quello della Madonna di Carosino. Quest’ultimo era stato realizzato interamente in pietra leccese nei primi anni del Seicento all’interno del cappellone ad essa dedicato (fino alla seconda metà del Settecento l’altare dedicato alla Madonna era privo della parte marmorea).

Dopo il restauro e la ristrutturazione delle due chiese adiacenti e del cappellone, tra il 1743 ed il 1763 ad opera della duchessa di Carosino Francesca Albertini, l’antica abside, come tutto quanto rimaneva della chiesa Quattrocentesca e dell’antica cappella, fu interessato da un restyling che coprì cornici, modanature e costoloni preesistenti con stucchi e decori tardo barocchi.

Il crocifisso fu inserito all’interno di una teca lignea tripartita con altrettante porte e vetri in stile rochelle e richiami goticheggianti, della quale esiste ancora qualche immagine fotografica.

Le operazioni di rifacimento dell’edificio liturgico avvenute tra il 1743 ed il 1763, avevano erroneamente convinto gli storici locali che sia il crocifisso sia quella parte della chiesa fossero Settecenteschi. Queste imprecise informazioni sono ancora riportate sui pannelli descrittivi dell’edificio religioso presenti all’esterno, sul sagrato.

Soltanto a seguito dei restauri teminati nel 2000, sono state riportate a vista alcune parti dell’intradosso della copertura dell’abside, eliminando la teca lignea già alleggerita delle porte e dei vetri negli anni ’70 del Novecento.

A seguito, quindi, di recenti studi condotti dallo scrivente e pubblicati solo nel 2014, è stato possibile risalire alle varie fasi di costruzione della chiesa, collocando in maniera corretta anche la croce lignea nella linea del tempo.

il crocifisso ligneo come si presentava ancora negli anni ’70
(foto A. Campo – archivio parrocchiale)
il crocifisso ligneo come si presentava ancora negli anni ’90 (foto A. Campo – archivio fam. Conzo)

Va segnalato che, come riportato nei verbali di alcune visite pastorali (ne fa riferimento, seppur in maniera confusa, anche monsignor Pignatelli nel 1684), il Santissimo Crocifisso era titolare di un beneficio, istituito da un certo Nicola Manasse per diriitto del patronato del principe di Faggiano (probabile riferimento a don Fabio Albertini, prima dell’acquisizione del tiptolo di duca di Carosino da parte della nobile famiglia napoletana) per celebrare tre messe all’anno. Successivamente il riferimento al beneficio a favore dell’altare del Crocifisso si trova più genericamente indicato come obbligo in perpetuo di celebrare una messa solenne il giorno della Santa Croce (visite di mons. De Fulgure 1822, 1825 e 1828).

Scrive D. L. De Vincentis, in Storia di Taranto vol III, IV, V, Taranto, 1878:

era stupenda architettura, ornata di eleganti pitture e decorata di varie cappelle gentilizie, cioè quella di S. Antonio del principe fondatore, quella del Crocifisso dei signori Albertini principi di Faggiano, quello di S. Anna dei signori Antoglietta marchesi di Fragagnano, quello di S. Leonardo di Porto Maurizio dei signori Acclavio, e l’altare maggiore dei signori Protonobilissimo Cavalieri Napoletani stabilitisi in Taranto”.

De Vincentis si riferisce alla chiesa del convento di Sant’Antonio da Padova in Taranto, fondata dal principe Giovanni Antonio nel 1444. Anche in questa, nel Settecento, gli Albertini avevano un altare di famiglia dedicato al Crocifisso.

Riferimenti bibliografici:

  • Angelo Campo, Strada principale e strade secondarie. Il caso di Carosino presso La Croce, tra la via Appia e la strada Sallentina, attraverso secoli e terremoti, Congedo, Galatina, 2014;
  • Antonio Cinque, Carosino. Sopravvivenze storiche di una comunità. Studi e ricerche, Mandese, Taranto, 1988;
  • Giacomo Arditi, Corografia fisica e storica della Provincia di Terra d’Otranto, parte C-F, Lecce, 1879;
  • D. L. De Vincentis, Storia di Taranto, vol III, IV, V, Taranto, 1878;
  • Archivio diocesano di Taranto, fondo visite pastorali, varie annate e fascicoli;
  • Archivio parrocchiale S. Maria delle Grazie di Carosino
  • Archivio famiglia Antonio Conzo e Arcangelo